Nasa, a caccia di vita con i sommergibili spaziali
Su Europa, il grande satellite di Giove con la superficie ricoperta di ghiacci, la Nasa cerca una qualche forma di vita primordiale: batteri o alghe
Fra
pochi mesi, nel 2017, gli americani saranno di nuovo in grado di
portare astronauti fino alla gigantesca Stazione spaziale
internazionale, da cui è appena scesa il capitano Samantha
Cristoforetti, l’amatissima @Astrosamantha, e poi Marte nel 2030, non
per andarci per qualche ora o giorno, come fu per la Luna, no su Marte
si va per starci intanto almeno un anno e poi ci si tornerà in forze.
Sono i due punti fondamentali ribaditi da Charles F.Bolden, amministratore delegato di Nasa, nell’affollatissimo incontro con gli studenti del Politecnico di Milano svoltosi pochi giorni fa. Una conferma ufficiale quindi dei due capisaldi di Nasa per i prossimi 20 anni di esplorazione spaziale, sempre più connotata dalla collaborazione con altri Paesi: 69 su oltre 90 delle missioni spaziali attive, o in previsione, di Nasa vedono la cooperazione con altri Paesi. Si va dalla sonda Cassini, attorno a Saturno da anni e in cui il partner principale è proprio il nostro Paese che volle fortemente questa missione fin dagli anni ’70, alla Stazione spaziale internazionale stessa, dove troviamo l’apporto di oltre 20 Paesi, Russia compresa.
Certo nessuno si nasconde che ci sono problemi oramai fra Russia e Stati Uniti, e Bolden non evita l’argomento, ma è positivo perché, dice, nello spazio si collabora: lo si esplora infatti e gli esploratori si aiutano fra loro. E con i cinesi? Collaborazione nell’osservazione della Terra e “gli abbiamo dato una mano” con le trasmissioni quando il loro robot lunare si era fermato e aveva problemi. Però ci si ferma là, il Congresso degli Stati Uniti ha messo dei paletti che di sicuro Nasa non può oltrepassare. Con l’Italia tutto da sempre al massimo, è un partner fondamentale fin dagli anni ’60, quando con il Progetto San Marco fummo il terzo Paese a spedire un satellite artificiale nello spazio, dopo Unione Sovietica e Usa. Il razzo vettore ce lo “prestarono” proprio quelli di Nasa.
Se mai c’era bisogno, comunque, è venuta la conferma che Marte per gli Usa è “cosa loro”, Bolden non usa giri di parole e chiama il pianeta rosso “our primary focus”, il nostro obiettivo principale. Problemi per andarci? A bizzeffe, il viaggio è lungo, parliamo di mesi, poi si esce dallo scudo protettivo del campo magnetico terrestre, e quindi radiazioni mortali a bizzeffe attraverseranno il corpo degli astronauti se non si trova un modo efficiente di fermarle fuori dall’astronave e comunque, una volta arrivati, c’è il problema di rimanerci su Marte, far mangiare gli astronauti e così via. Certamente ce la si farà comunque, anche se c’è pure il problema di tornare, e non è così semplice come sembra perché la gravità è molto minore, ma comunque ci vuole un razzo vettore abbastanza capace di staccarsi dal pianeta e volare verso Terra. Per gli astronauti poi i veri problemi, per strano che possa sembrare, sono quelli legati all’assenza di gravità, o comunque al suo ridotto valore, che minano il fisco, ossa, muscoli e sistema circolatorio, dato che il sangue, che non è più attratto verso il basso, rischia di ingorgare letteralmente il muscolo cardiaco.
Ma Bolden è strasicuro di farcela, anche se il nuovo sistema sviluppato da Nasa per “ammartare” dolcemente ha fallito il test per la seconda volta proprio nei giorni scorsi. Gli piace, è l’obiettivo ideale e lui è uno che ama le sfide, basta dire che partecipò come astronauta alla missione dello Space Shuttle per riparare il Telescopio Spaziale Hubble, l’unica fra le tante della navetta spaziale Usa che non aveva possibilità di recupero: se avessero sbagliato sarebbero morti nello spazio, nessuno li poteva andare a recuperare. E questa positività la trasmette agli 800 studenti presenti all’evento e affascinati da questo generale dei marines, astronauta coraggioso e grande manager di stato che si mette in manica di camicia, scende fra di loro, ride, scherza e da pure qualche pacca sulle spalle.
Considerato che ogni anno spende 16 miliardi di dollari e gestisce uno dei settori chiave dello sviluppo il comportamento è piuttosto inusuale per i nostri canoni, ma certamente efficace: non vola una mosca nell’aula strapiena e Bolden motiva i giovani spronandoli a mettersi in gioco e a non fermarsi davanti a nessuna difficoltà. Scritti così sembrano probabilmente discorsi banali, ma lui ci mette la sua vita sulla bilancia, fin da quando da giovane di colore aveva qualche paura di poter riuscire nella vita, ma ci è passato sopra, con volontà e giudizio. La presenza di Luca Parmitano, astronauta italiano molto amato dal pubblico, con cui Bolden è in perfetta sintonia dato che i due hanno visto entrambi “il vero colore dell’Universo, che è il nero”, rinforza il messaggio.
Marte è quindi per gli Usa, solo per Nasa o anche per i “privati”, messi in gioco 5 anni fa e molto valorizzati dalla coppia Obama-Bolden? La risposta è netta: anche se ci stanno mettendo l’anima, non ce la faranno, troppi i problemi e troppe le tecnologie da trovare. Certo sarebbe bello sentire un confronto fra Nasa e il suo principale fornitore privato, attuale, la SpaceX di Elon Musk, quello che è anche l’inventore e padrone della Tesla, l’industria di macchine elettriche di alte prestazioni.
Per lui e la Boeing invece Bolden vede un futuro roseo: fra un paio di anni scarsi con le loro navette porteranno gli astronauti alla Stazione Spaziale, con contratti da 6,8 miliardi di dollari. Oltre che creare un’alternativa alla vecchia e sicura Soyuz sovietica, ora russa, le nuove capsule sviluppate dall’industria americana porteranno 4 astronauti, e non 3 come ora, in modo che l’equipaggio complessivo della Stazione potrà essere di 7 persone e non 6 come ora. E questo vuol dire più ricerca e più manutenzione.
Nello sfondo dell’incontro la ricerca della vita nell’Universo, di cui Bolden, come molti di noi, è un grande appassionato. Si dice convinto che ci sia e che bisogna fare il possibile per cercarla, a iniziare dalla strepitosa missione attualmente in studio verso Europa, il grande satellite di Giove con la superficie ricoperta di ghiacci.
Sotto la crosta di Europa certamente ci sono enormi oceani alieni dove, grazie al riscaldamento proveniente dal cuore del satellite, potrebbe essere fiorita una qualche forma anche primordiale: batteri o alghe. Nasa insomma potrebbe trovarsi fra poco a costruire oltre che aerei, razzi vettori e satelliti di tutti i tipi, anche sommergili “spaziali”. E non è uno scherzo.
Sono i due punti fondamentali ribaditi da Charles F.Bolden, amministratore delegato di Nasa, nell’affollatissimo incontro con gli studenti del Politecnico di Milano svoltosi pochi giorni fa. Una conferma ufficiale quindi dei due capisaldi di Nasa per i prossimi 20 anni di esplorazione spaziale, sempre più connotata dalla collaborazione con altri Paesi: 69 su oltre 90 delle missioni spaziali attive, o in previsione, di Nasa vedono la cooperazione con altri Paesi. Si va dalla sonda Cassini, attorno a Saturno da anni e in cui il partner principale è proprio il nostro Paese che volle fortemente questa missione fin dagli anni ’70, alla Stazione spaziale internazionale stessa, dove troviamo l’apporto di oltre 20 Paesi, Russia compresa.
Certo nessuno si nasconde che ci sono problemi oramai fra Russia e Stati Uniti, e Bolden non evita l’argomento, ma è positivo perché, dice, nello spazio si collabora: lo si esplora infatti e gli esploratori si aiutano fra loro. E con i cinesi? Collaborazione nell’osservazione della Terra e “gli abbiamo dato una mano” con le trasmissioni quando il loro robot lunare si era fermato e aveva problemi. Però ci si ferma là, il Congresso degli Stati Uniti ha messo dei paletti che di sicuro Nasa non può oltrepassare. Con l’Italia tutto da sempre al massimo, è un partner fondamentale fin dagli anni ’60, quando con il Progetto San Marco fummo il terzo Paese a spedire un satellite artificiale nello spazio, dopo Unione Sovietica e Usa. Il razzo vettore ce lo “prestarono” proprio quelli di Nasa.
Se mai c’era bisogno, comunque, è venuta la conferma che Marte per gli Usa è “cosa loro”, Bolden non usa giri di parole e chiama il pianeta rosso “our primary focus”, il nostro obiettivo principale. Problemi per andarci? A bizzeffe, il viaggio è lungo, parliamo di mesi, poi si esce dallo scudo protettivo del campo magnetico terrestre, e quindi radiazioni mortali a bizzeffe attraverseranno il corpo degli astronauti se non si trova un modo efficiente di fermarle fuori dall’astronave e comunque, una volta arrivati, c’è il problema di rimanerci su Marte, far mangiare gli astronauti e così via. Certamente ce la si farà comunque, anche se c’è pure il problema di tornare, e non è così semplice come sembra perché la gravità è molto minore, ma comunque ci vuole un razzo vettore abbastanza capace di staccarsi dal pianeta e volare verso Terra. Per gli astronauti poi i veri problemi, per strano che possa sembrare, sono quelli legati all’assenza di gravità, o comunque al suo ridotto valore, che minano il fisco, ossa, muscoli e sistema circolatorio, dato che il sangue, che non è più attratto verso il basso, rischia di ingorgare letteralmente il muscolo cardiaco.
Ma Bolden è strasicuro di farcela, anche se il nuovo sistema sviluppato da Nasa per “ammartare” dolcemente ha fallito il test per la seconda volta proprio nei giorni scorsi. Gli piace, è l’obiettivo ideale e lui è uno che ama le sfide, basta dire che partecipò come astronauta alla missione dello Space Shuttle per riparare il Telescopio Spaziale Hubble, l’unica fra le tante della navetta spaziale Usa che non aveva possibilità di recupero: se avessero sbagliato sarebbero morti nello spazio, nessuno li poteva andare a recuperare. E questa positività la trasmette agli 800 studenti presenti all’evento e affascinati da questo generale dei marines, astronauta coraggioso e grande manager di stato che si mette in manica di camicia, scende fra di loro, ride, scherza e da pure qualche pacca sulle spalle.
Considerato che ogni anno spende 16 miliardi di dollari e gestisce uno dei settori chiave dello sviluppo il comportamento è piuttosto inusuale per i nostri canoni, ma certamente efficace: non vola una mosca nell’aula strapiena e Bolden motiva i giovani spronandoli a mettersi in gioco e a non fermarsi davanti a nessuna difficoltà. Scritti così sembrano probabilmente discorsi banali, ma lui ci mette la sua vita sulla bilancia, fin da quando da giovane di colore aveva qualche paura di poter riuscire nella vita, ma ci è passato sopra, con volontà e giudizio. La presenza di Luca Parmitano, astronauta italiano molto amato dal pubblico, con cui Bolden è in perfetta sintonia dato che i due hanno visto entrambi “il vero colore dell’Universo, che è il nero”, rinforza il messaggio.
Marte è quindi per gli Usa, solo per Nasa o anche per i “privati”, messi in gioco 5 anni fa e molto valorizzati dalla coppia Obama-Bolden? La risposta è netta: anche se ci stanno mettendo l’anima, non ce la faranno, troppi i problemi e troppe le tecnologie da trovare. Certo sarebbe bello sentire un confronto fra Nasa e il suo principale fornitore privato, attuale, la SpaceX di Elon Musk, quello che è anche l’inventore e padrone della Tesla, l’industria di macchine elettriche di alte prestazioni.
Per lui e la Boeing invece Bolden vede un futuro roseo: fra un paio di anni scarsi con le loro navette porteranno gli astronauti alla Stazione Spaziale, con contratti da 6,8 miliardi di dollari. Oltre che creare un’alternativa alla vecchia e sicura Soyuz sovietica, ora russa, le nuove capsule sviluppate dall’industria americana porteranno 4 astronauti, e non 3 come ora, in modo che l’equipaggio complessivo della Stazione potrà essere di 7 persone e non 6 come ora. E questo vuol dire più ricerca e più manutenzione.
Nello sfondo dell’incontro la ricerca della vita nell’Universo, di cui Bolden, come molti di noi, è un grande appassionato. Si dice convinto che ci sia e che bisogna fare il possibile per cercarla, a iniziare dalla strepitosa missione attualmente in studio verso Europa, il grande satellite di Giove con la superficie ricoperta di ghiacci.
Sotto la crosta di Europa certamente ci sono enormi oceani alieni dove, grazie al riscaldamento proveniente dal cuore del satellite, potrebbe essere fiorita una qualche forma anche primordiale: batteri o alghe. Nasa insomma potrebbe trovarsi fra poco a costruire oltre che aerei, razzi vettori e satelliti di tutti i tipi, anche sommergili “spaziali”. E non è uno scherzo.
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