Ansia, stress, depressione, dolore. Sono alcuni dei disturbi che accompagnano la vita dei malati di tumore, quasi sempre nel momento della diagnosi e delle terapie, ma non di rado anche nei mesi durante i quali la malattia sembra concedere una tregua. Finora si è sempre data poca importanza a questi aspetti, più che altro per mancanza di risorse, destinate quasi per intero alle cure, molto costose. Ma in un futuro assai prossimo la situazione potrebbe cambiare, grazie alla realtà virtuale o, più specificamente, alla virtual sanity. Già ampiamente in studio e talvolta in uso in ambito neurologico, per la riabilitazione, ma anche in quello psicologico (per esempio per curare le conseguenze dello stress post traumatico nei reduci di guerra), la stimolazione sensoriale proveniente da scenari rasserenanti proposti in modo immersivo e non semplicemente in 3D, potrebbe diventare infatti un supporto terapeutico comune, e accessibile a costi bassissimi.
Per verificare l’ipotesi, a Bologna è stato lanciato lo studio chiamato Look of Life , basato su progetto dell’Assistenza Nazionale Tumori (Ant) sostenuto dalla Fondazione Cattolica Assicurazioni con 30.000 euro iniziali, e dalla Fondazione Vodafone, attraverso il bando “Digital for Social”, vinto appunto da Look of Life (con altri 30.000 euro).
Ideatori ne sono MenoMale, associazione culturale che si occupa dei nuovi linguaggi, e Luciano Gamberini, responsabile scientifico dello Human Inspired Technology Research Centre del dipartimento di Psicologia dell’Università di Padova. Spiega quest’ultimo: “L’idea di base è quella di offrire ai malati uno strumento attraverso cui alleviare gli stati di ansia e depressione, nonché attenuare il dolore in qualunque momento, a casa e sfruttando dispositivi facili da usare. Verificheremo, attraverso misurazioni fisiologiche e questionari convalidati a livello internazionale, gli effetti immediati e a lungo termine della visione immersiva, cioè a 360° (che permette un pieno coinvolgimento e non solo una fruizione passiva), in base alle variazioni dell’umore, del dolore percepito e di altri parametri prima e dopo la visione proposta a cadenze diverse, più o meno ravvicinate.
In un primo momento le sessioni avverranno con operatori di Ant e secondo schemi regolari, al fine di ottenere dati utili dal punto di vista statistico, ma l’obiettivo è quello di rendere la tecnologia accessibile a chiunque e in qualsiasi momento”. I visori 3D Gear, continua Gamberini, costano ormai una trentina di euro e prevedono l’applicazione di uno smartphone che darà accesso ai diversi scenari. “Inizialmente, e insieme con Deye, partner multimediale del progetto,” precisa Marco Magagnoli “ne abbiamo progettati cinque, ma si può immaginare un futuro prossimo nel quale questi siano molto numerosi, forniti anche dagli stessi utenti – fatto che contribuirebbe a dare vita a una community utilissima per i malati -, in modo che ciascuno scelga, di volta in volta, quello che suscita in lui una sensazione di maggiore benessere. I contenuti, a regime, saranno tutti disponibili sulla piattaforma online e in modo del tutto open, affinché chiunque possa usufruirne”.
E non è tutto, perché in futuro la scelta della visione nella quale immergersi potrebbe essere in parte decisa anche dallo stesso programma, una volta diventato intelligente. Spiega infatti Gamberini: “Sono in studio in diversi laboratori tra i quali i nostri sensori che rilevino le variazioni dell’umore per esempio dalla conduttanza elettrica, o con un’elettromiografia, con la frequenza del respiro o il battito cardiaco o, ancora, con la lettura delle espressioni facciali; quando saranno del tutto ottimizzati, si potrà pensare a una loro applicazione anche a questi visori, in modo che il contenuto sia modulato in base alla risposta del paziente”.
La fase sperimentale dovrebbe durare qualche mese, fino all’ottenimento dei dati completi di non meno di un centinaio di malati, da verificare con quelli di altrettanti pazienti non “trattati” e in condizioni di malattia simili; il setting sperimentale è importante non solo per la standardizzazione del metodo, ma anche per gli sviluppi futuri, come sottolinea Raffaella Pannuti, presidente dell’Ant: “L’idea è quella di affiancare i servizi offerti dai centri ospedalieri, ancora carenti in questo ambito. Per farlo, però, abbiamo bisogno di dati, e non solo di idee. Inoltre, per la loro natura, le associazioni come Ant devono anche farsi promotrici di visioni innovative della cura e dell’assistenza, da sperimentare e portare poi al malato affinché migliorino la sua vita, se si dimostrano efficaci. E Look of Life rappresenta al meglio questa modo di concepire l’impegno sociale”.