«Riscriviamo il digitale»
«Il valore della scrittura manuale? Personalizza e abilita l’apprendimento»
A
dodici anni Ewan Clayton non scriveva bene, tanto da essere rimandato
nella classe precedente per la sua pessima calligrafia. Ma da quel
fallimento è nata una passione ancora più grande: «Vivevo a Ditchling,
piccolo villaggio del Sussex che aveva una grande tradizione di artisti
del lettering, tra cui Edward Johnston, il creatore dei caratteri della
metropolitana di Londra». Il 60 enne Clayton ha costruito un’intera
carriera sulla calligrafia: «La scrittura manuale non è fatta solo di
razionalità, è un’attività che coinvolge il corpo intero come sistema di
percezione e di apprendimento, espressione di una relazione
strettissima con il modo di sentire e di avere emozioni». Perché è
un’attività che ha diverse funzioni: «Permette di trascrivere e copiare,
ma è anche un comportamento umano che integra informazioni e luoghi in
un quadro coerente». Da sempre, fin dall’antica Roma, ha funzionato
utilizzando tecnologie differenti che hanno saputo convivere. Anche oggi
abbiamo bisogno di tutte le tecniche. Lo sa bene Clayton che alla
storia della scrittura ha dedicato un intero libro, “Il filo d’oro”
(pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri).
Per
questo è un falso problema quello della contrapposizione con il
digitale: «C’è un intero ecosistema dell’informazione che si muove da
una tecnologia all’altra e la scrittura è una di quelle che ci permette
di attraversarlo», afferma ai margini di un convegno dell’Associazione
Calligrafica Italiana a Milano, dedicato al futuro della scrittura.
Anzi, paradossalmente il digitale sta ridando una nuova vita alla
scrittura manuale, che «non è fatta solo di carta e inchiostro, può
essere anche digitale. E sarà sempre più così - afferma Clayton -. Non è
un mistero che i colossi dell’hi-tech stiano facendo ricerche
approfondite su questo aspetto. Man mano che i computer si
miniaturizzano e diventano ubiqui, la tastiera è destinata a sparire e
l’interazione sarà manuale, adatta anche a scrivere su qualsiasi
superficie». D’altra parte ci sono ricerche in ambito neuropsicologico
che indicano come la scrittura a mano favorisca un apprendimento più
argomentativo, non fatto solo di nomi e fatti, e più duraturo nel tempo.
Nella
scia della riscoperta della manualità e del making che accompagna la
diffusione del digitale, emerge anche l’esigenza di superare la
standardizzazione imposta dal computer: la scrittura diventerà un
fattore di personalizzazione. «Già lo stanno scoprendo le aziende, che
recuperano il corsivo nella sue varie forme come elemento distintivo del
lo- ro modo di raccontarsi nell’ambito non solo di un semplice brand ma
di un’immagine completa, di cura e di relazione personale con il
cliente». Tanto più in un paese come l’Italia, culla del corsivo e della
creatività.
Laureato in psicologia e
storia medievale, Clayton ha fatto esperienza anche da vero amanuense:
dopo essere guarito da un tumore, a 28 anni ha deciso di coronare un suo
sogno di bambino diventando monaco nell’abbazia benedettina di Worth,
sempre nel Sussex. «Non sapevano che era calligrafo, quando lo
scoprirono mi misero a lavorare sui documenti - ricorda -: sono stati
tre anni straordinari, in cui ho sviluppare il senso della ricerca di
fronte al dubbio e all’incertezza».
Dopo
tre anni, decise che quell’esperienza era esaurita e si ritrovò
proiettato in pochi mesi nella Silicon Valley, nel mitico Xerox Parc.
Dopo anni di ricerca, la Xerox delle fotocopiatrici aveva creato un
laboratorio per reinventarsi come “document company”: «Eravamo tanti:
psicologo, antropologo, designer, storico dell’economia e del
linguaggio, linguista, computer scientist, esperto di intelligenza
artificiale, oltre al caligrafo - tutti insieme per capire cosa è un
documento, per ripensare questi oggetti sociali e comprendere quali
tecnologie usare per portarli nel futuro».
La
conclusione? «Il documento non è composto solo dall’informazione che vi
è contenuta, ma è un manufatto, un oggetto in cui si integra anche
tutto quello che succede attorno. Quindi se lo digitalizziamo si
eliminano tutte le azioni e le connessioni che sono rappresentate lì
dentro: spesso è questo il motivo per cui i processi di
digitalizzazione, perdendo per strada queste informazioni, rischiano di
complicare le cose e di aumentare le inefficienze». Non è un caso che
anche nei luoghi più tecnologici, accanto ai computer fioriscono post-it
o appunti. Rigorosamente a mano.
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