L’algoritmo dei morti viventi
Cosa accadrebbe se gli zombie attaccassero l'umanità? L'Università Cornell ha messo a punto un modello basato su un algoritmo a tre variabili per prevedere la diffusione
Dal
2009 gli epidemiologi studiano cosa accadrebbe se gli zombie
attaccassero davvero l’umanità. Pioniere di questa ricerca è stato
Philip Munz, dell’Università Carleton di Ottawa, che con il suo gruppo
dimostrò sulla rivista “Infectious Disease Modelling Research Progress”
come l’unica possibilità per la nostra razza di salvarsi dal collasso
completo fosse un contrattacco efficiente e immediato.
Oggi un nuovo studio, diffuso in bozza dal team di Alexander A. Alemi del Laboratorio di fisica atomica dell’Università Cornell di Ithaca, fornisce nuovi elementi su ciò che potrebbe accadere se le visioni di George Romero diventassero un giorno reali.
Per prevedere cosa avverrebbe nel caso di un’invasione di morti viventi sul modello della serie tv “The Walking Dead”, gli studiosi hanno messo a punto un modello matematico di tre parametri che tiene conto del numero della popolazione suscettibile di essere infettata dagli zombie, della quantità di morti viventi, e del numero di zombie che vengono “terminati”, ossia la cui attività cessa dopo essere stati colpiti al cervello. L’algoritmo, chiamato SRZ, considera anche la probabilità di essere infettati da un morto vivente e quella di terminazione, e si sviluppa con equazioni differenziali il cui valore dipende dal tempo.
Il team di Alemi ha scelto di sviluppare questo tipo di simulazione per illustrare e “introdurre le tecniche utilizzate nei modelli epidemiologici moderni”, assieme alle “idee usate negli studi numerici di fenomeni critici”.
Modelli di questo tipo sono infatti fondamentali per conoscere e combattere la diffusione dell’influenza, e sono ad esempio utili nel controllo di Ebola. In questo ultimo caso, avvertono però i ricercatori, occorre tenere conto di fattori aggiuntivi, come la propagazione dell’epidemia attraverso aerei ed aeroporti, cosa che nel caso dei morti viventi non sarebbe possibile, perché “gli zombi non prendono gli aerei”. Il modello degli studiosi di Ithaca simula in realtà quindi più ”la diffusione di alcuni infestanti per l’agricoltura, dove la malattia si propaga all’interno di un reticolo di siti lungo una superficie bidimensionale”.
Lo sviluppo delle formule matematiche conduce a prima vista a due considerazioni. La prima osservazione è che la velocità di diffusione degli zombie dipende dalla densità della popolazione; e la seconda è che, rispetto a uno studio epidemiologico classico, il modello SRZ ammette la soluzione che i morti viventi finiscano per prevalere sulla razza umana, sconfiggendola e annientandola.
Il gruppo di Alemi, dopo aver affinato ulteriormente il modello tenendo ad esempio conto di come si distribuisce la popolazione umana su tutta la superficie terrestre, ha provato ad applicarlo a un’ipotetica invasione degli Stati Uniti d’America.
Partendo dal censimento del 2010, il Paese è stato diviso in celle di 3 km quadrati, ciascuna delle quali contenenti in media 420 persone. La distribuzione non è però uniforme, e si hanno caselle vuote ed altre, come quella di New York “downtown”, che contiene ben 299.616 abitanti.
Il modello prevede che i morti viventi si accorgano dell’esistenza degli umani quando questi si trovano a meno di 30 metri di distanza. Il valore di pericolosità dei cadaveri ambulanti è stato ricavato analizzando i due lungometraggi “La notte dei morti viventi” e “L’alba dei morti dementi”. I ricercatori hanno calcolato un valore di aggressività pari a 0,8; in altre parole: “Gli zombie nei film sono 1,25 volte più efficaci a mordere gli uomini che questi ultimi ad uccidere gli zombie”. La simulazione considera l’ipotesi che negli Stati Uniti improvvisamente si ammali una persona ogni milione, con una distribuzione uniforme e su tutto il territorio nazionale.
Per quanto poco numerosi, i 306 morti viventi iniziali riuscirebbero comunque già in una settimana ad infettare una buona parte degli Usa. Le zone nelle quali l’epidemia si diffonderebbe più velocemente sono quelle più densamente abitate sulla costa, mentre la pestilenza proseguirebbe più lentamente nelle aree interne. Dopo quattro settimane, la maggior parte degli Stati Uniti sarebbe colpita anche se, come spiegano i ricercatori, resterebbero comunque aree nelle quali la propagazione risulterebbe particolarmente rallentata: ”Anche dopo quattro mesi, le aree remote del Montana e del Nevada rimarrebbero libere dagli zombie”.
Se invece l’epidemia iniziasse in un’unica località, si avrebbe ugualmente una diffusione su tutto il territorio adiacente, ma questa rimarrebbe comunque confinata e non si diffonderebbe in tutti gli Stati Uniti.
Una serie di suggerimenti importanti, da tenere in considerazione per capire dove rifugiarsi nel caso di una invasione reale di morti viventi.
Oggi un nuovo studio, diffuso in bozza dal team di Alexander A. Alemi del Laboratorio di fisica atomica dell’Università Cornell di Ithaca, fornisce nuovi elementi su ciò che potrebbe accadere se le visioni di George Romero diventassero un giorno reali.
Per prevedere cosa avverrebbe nel caso di un’invasione di morti viventi sul modello della serie tv “The Walking Dead”, gli studiosi hanno messo a punto un modello matematico di tre parametri che tiene conto del numero della popolazione suscettibile di essere infettata dagli zombie, della quantità di morti viventi, e del numero di zombie che vengono “terminati”, ossia la cui attività cessa dopo essere stati colpiti al cervello. L’algoritmo, chiamato SRZ, considera anche la probabilità di essere infettati da un morto vivente e quella di terminazione, e si sviluppa con equazioni differenziali il cui valore dipende dal tempo.
Il team di Alemi ha scelto di sviluppare questo tipo di simulazione per illustrare e “introdurre le tecniche utilizzate nei modelli epidemiologici moderni”, assieme alle “idee usate negli studi numerici di fenomeni critici”.
Modelli di questo tipo sono infatti fondamentali per conoscere e combattere la diffusione dell’influenza, e sono ad esempio utili nel controllo di Ebola. In questo ultimo caso, avvertono però i ricercatori, occorre tenere conto di fattori aggiuntivi, come la propagazione dell’epidemia attraverso aerei ed aeroporti, cosa che nel caso dei morti viventi non sarebbe possibile, perché “gli zombi non prendono gli aerei”. Il modello degli studiosi di Ithaca simula in realtà quindi più ”la diffusione di alcuni infestanti per l’agricoltura, dove la malattia si propaga all’interno di un reticolo di siti lungo una superficie bidimensionale”.
Lo sviluppo delle formule matematiche conduce a prima vista a due considerazioni. La prima osservazione è che la velocità di diffusione degli zombie dipende dalla densità della popolazione; e la seconda è che, rispetto a uno studio epidemiologico classico, il modello SRZ ammette la soluzione che i morti viventi finiscano per prevalere sulla razza umana, sconfiggendola e annientandola.
Il gruppo di Alemi, dopo aver affinato ulteriormente il modello tenendo ad esempio conto di come si distribuisce la popolazione umana su tutta la superficie terrestre, ha provato ad applicarlo a un’ipotetica invasione degli Stati Uniti d’America.
Partendo dal censimento del 2010, il Paese è stato diviso in celle di 3 km quadrati, ciascuna delle quali contenenti in media 420 persone. La distribuzione non è però uniforme, e si hanno caselle vuote ed altre, come quella di New York “downtown”, che contiene ben 299.616 abitanti.
Il modello prevede che i morti viventi si accorgano dell’esistenza degli umani quando questi si trovano a meno di 30 metri di distanza. Il valore di pericolosità dei cadaveri ambulanti è stato ricavato analizzando i due lungometraggi “La notte dei morti viventi” e “L’alba dei morti dementi”. I ricercatori hanno calcolato un valore di aggressività pari a 0,8; in altre parole: “Gli zombie nei film sono 1,25 volte più efficaci a mordere gli uomini che questi ultimi ad uccidere gli zombie”. La simulazione considera l’ipotesi che negli Stati Uniti improvvisamente si ammali una persona ogni milione, con una distribuzione uniforme e su tutto il territorio nazionale.
Per quanto poco numerosi, i 306 morti viventi iniziali riuscirebbero comunque già in una settimana ad infettare una buona parte degli Usa. Le zone nelle quali l’epidemia si diffonderebbe più velocemente sono quelle più densamente abitate sulla costa, mentre la pestilenza proseguirebbe più lentamente nelle aree interne. Dopo quattro settimane, la maggior parte degli Stati Uniti sarebbe colpita anche se, come spiegano i ricercatori, resterebbero comunque aree nelle quali la propagazione risulterebbe particolarmente rallentata: ”Anche dopo quattro mesi, le aree remote del Montana e del Nevada rimarrebbero libere dagli zombie”.
Se invece l’epidemia iniziasse in un’unica località, si avrebbe ugualmente una diffusione su tutto il territorio adiacente, ma questa rimarrebbe comunque confinata e non si diffonderebbe in tutti gli Stati Uniti.
Una serie di suggerimenti importanti, da tenere in considerazione per capire dove rifugiarsi nel caso di una invasione reale di morti viventi.
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