C'è qualcuno che sa leggere
elementare!\Entrare nelle metafore degli altri
La scorsa settimana ho riportato
una frase sul canto che «solleva e porta in giro l’anima per la stanza»,
detta da Nisrin a 8 anni. È dalla prima elementare che sono colpito
dalla ricchezza delle metafore che ci propone, superando a fatica la sua
timidezza. La sua famiglia viene dal Marocco e sempre più mi vado
convincendo che il modo in cui racconta come le cose viaggino tra
l’interno e l’esterno della mente e del corpo sia nutrita da immagini
che provengono dalla sua cultura, che purtroppo ignoro.
Scuole dell’infanzia e scuole elementari sono luoghi pubblici
particolarmente preziosi oggi, perché è lì che i più piccoli compiono i
loro primi passi verso una possibile convivenza pacifica tra culture, da
inventare e reinventare ogni giorno.Chiedere ai bambini di parlare esplicitamente delle proprie origini, della propria famiglia o della terra di provenienza spesso è controproducente, perché scivola facilmente in un paternalismo inconsapevolmente invasivo. Bambine e bambini sperimentano sulla loro pelle (di diversi colori) quanto sottile sia il confine tra la percezione della diversità e pratiche più o meno coscienti di discriminazione. Molti, infatti, reagiscono facendo di tutto per essere o apparire come gli altri.
Eppure le potenzialità delle tante differenze che abitano le nostre scuole sono enormi e le insegnanti più attente si domandano come rendere vivo questo fragile e necessario laboratorio del futuro.
Nel tempo lungo di una convivenza obbligatoria, infatti, può svilupparsi una curiosità reciproca, che è l’humus necessario ad ogni costruzione di una comunità, sia pur provvisoria, come può e dovrebbe essere quella di ogni classe. Comunità di bambini che alle volte, anche se a fatica, riesce a influenzare positivamente anche le relazioni reciproche tra genitori.
In fondo siamo lì per crescere, dunque per trasformarci, e farlo insieme tra diversi, comportando maggiore impegno e fatica ci aiuta ad aprirci un po’ di più e a scoprire parti nascoste di noi. Ci porta a entrare e a giocare con le metafore degli altri, che sono un modo di raccontarci il mondo e nutrirci di diverse sensibilità.
Un giorno Nisrin ha detto: «La matematica è un omino che va in bicicletta dentro la testa. Se si ferma cade, se riesce a correre risolve i problemi». L’immagine mi è sembrata così bella che l’abbiamo scritta in grande sul muro. La trovo particolarmente efficace e ogni volta che osservo un bambino in difficoltà di fronte a un problema, penso a quel disequilibrio e a quella caduta di cui ci ha detto Nisrin, che nasce da una sua difficoltà reale, sofferta.
Poi un giorno Pedro, il papà di un’altra bambina, che è uruguaiano e sta studiando l’arabo, mi informa che in arabo matematica si dice alriadiyatt, parola che nomina lo sport e dà l’idea di allenamento del cervello. Il papà di Nisrin aggiunge che forse v’è persino l’idea di acrobazia. Scopro così che l’origine della metafora di Nisrin sta nella lingua in cui pensa o forse sogna.
Nessun commento:
Posta un commento