
Liceo classico: mala tempora currunt
-
È classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno.
-
È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona.
Italo Calvino
Il liceo classico attraversa una crisi senza pari.
Ormai da anni. Ormai in modo irrefrenabile. Che il latino e il greco
siano lingue inutili, morte, e il loro studio ancor più insensato, è
opinione dei più. Quella che un tempo era la scuola della grande élite,
degli orgogliosi e dei temerari, oggi è quella dei matti, dei
conservatori, degli ultimi topi da biblioteca destinati a estinguersi.
Non dei più valorosi, ma di quelli meno a passo con i tempi. Impiegare
il proprio impegno nella traduzione di un testo greco, nell’era della
tecnologia e del progresso scientifico, è considerato anacronistico
oltre che illogico. Concentrarsi su una lingua non parlata, nell’era
della globalizzazione e dell’esterofilia, è ritenuto uno sforzo senza
ricambi. Eppure, c’è qualcosa che muove ancora quei pochi ad iscriversi,
remando controcorrente, e che li accompagna fino al giorno della loro
maturità. E non si tratta soltanto di sprovvedutezza. E c’è ancora
qualcos’altro che muove gli ex alunni a prenderne le difese e a
consigliarlo. E non è soltanto affetto.
Tutti dovremmo concordare sul fatto che,
se inutile è memorizzare la grammatica latina e greca – un giorno
dimenticata e inutilizzata – altrettanto inutile è memorizzare il
procedimento dei calcoli matematici – eccezione fatta per le più
elementari operazioni. Posta questa come premessa essenziale, si noti
che la procedura rigorosa e scientifica, applicabile ad un problema di
matematica e fisica, è la stessa che si utilizza nella traduzione di un
testo latino o greco. In aggiunta, però, quest’ultima lascia qualcosa
che non si esaurisce raggiunta la semplice soluzione: la traduzione di
un testo antico è un’esperienza sensoriale unica e irripetibile, che ti
offre massime, considerazioni, comportamenti, suggerimenti, non
dissipati semplicemente come numero a risoluzione: questi invitano alla
riflessione, al pensiero. Coinvolgono non soltanto la mente, ma l’anima e
la coscienza tutta. Lo studio di chi traduce è durante e dopo:
è nella procedura matematica e schematica della ricostruzione del
testo, è soprattutto nelle valutazioni e nella critica a conclusione di
questo. Come afferma Dario Antiseri, il liceo Classico propone veri problemi da risolvere, e non semplici esercizi da eseguire.
Ad un tale compito non possono assolvere nemmeno le lingue moderne,
troppo evolute e studiate in senso pragmatico-strumentale. Le lingue
moderne sono lingue di comunicazione, in cui il pensiero si modella ed
adatta alle regole severe della comprensione ora e subito e in cui l’idea è sottovalutata a vantaggio dell’immediatezza. La lingua greca, invece, è lingua filosofica per eccellenza.
Attraverso gli studi che offre il liceo classico si scopre la nostra stessa cultura:
il teatro e la poesia, la matematica e la scienza. L’arte. Ma,
soprattutto, la politica. Studiare significa essere educati alla
partecipazione. Ovunque c’è Lui: il politikon zoon.
A coloro che ritengono defunta la cultura greca, domando cosa ci sia realmente di estinto nel mito, che racchiude in sé le cose mai accadute, ma che esistono da sempre. E cosa nel tragico,
avvenimento caotico contro l’ordine, che tutti un giorno ci ritroviamo
ad affrontare. La morte del latino e del greco non può dunque
annunciarsi; questa se lo augura chi ci vuole istruiti tutti, ma di
fatto ignoranti. È proprio per questo che il calo di iscrizioni non deve
essere letto come fenomeno fisiologico, ma al contrario estremamente
pericoloso; ancor più, oltretutto, dinnanzi a classi di scientifico
sperimentali, che hanno eliminato le ore di latino a vantaggio
dell’informatica e che, ogni anno, raddoppiano i propri iscritti. La
direzione che stiamo percorrendo è sempre più verso una scuola che ci educhi teoricamente al pratico,
non capendo che – di fatto – ci lascia sprovvisti di ogni vero
strumento critico. Le scelte di questa generazione sono lo specchio di
una società pronta ad educare sempre meno al pensiero, sempre più
noncurante del suo passato.
Cosa ne resterà dei mille baci di Catullo o della mediocritas
di Orazio? Cosa del tragico di Eschilo o dell’amore di Saffo? Forse
soltanto qualche aforisma, di tanto in tanto spiaccicato sul proprio
diario di Facebook, per conquistare qualche ‘mi piace’ e
fingerci ragazzi e ragazze di grande cultura. E chissà se, tra i tanti,
si comprenderà ancora il significato di questo tale Plutarco: “I ragazzi non sono vasi da riempire, ma fiaccole da accendere“.
Alessandra Di Nora