mercoledì 10 ottobre 2018


Giancarlo Mori
8 ottobre alle ore 17:27 ·

Le fave da morto
…E manco c’era la televisione
a quell’epoca de tant’anne fà
e a di’ la verità
manco la radio sopra ar cassettone
ce stava, pe’ senti’ le novità.
Doppo cenato, senza remissione,
a noe pischelle, stracche der pallone,
ce toccava d’annasse a riposa’.
Ma ogne sera der giorno de le Sante,
d’anna’ a dormi’ nun c’era fantasia
perché lo sapevamo tutte quante
che in quella notte piena de maggia
sarebbero arrivate le compiante
anime trapassate, a casa mia
co’ quella leccornia
che la trovamio a letto la mattina,
messa dar nonno… o da la sora Gina?
(8 Ottobre 2018)
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Commento di Epitteto:
Dall’ VIII sec. il primo di novembre si celebra la ricorrenza di tutti i Santi, festa grande per la cristianità.
Il giorno seguente è votato alla commemorazione dei defunti, il cui culto è antichissimo.
I Romani dedicavano ai parenti scomparsi le feste di Parentalia, e il “tempo dei trapassati” durava un’intera settimana (cadeva nel mese di febbraio). La festa dei morti era venerata perché: “da i morti nasce la vita, come dai semi nasce il frutto”. La gente presumeva che nei semi delle fave nere si ritrovassero le lacrime dei trapassati. Diversi i riti dell’epoca: uno, fatto per implorare la pace ai morti, consisteva nel cospargere di questi legumi le tombe; l’altro, eseguito per scaramanzia, era realizzato gettandosi le fave dietro alle spalle e recitando le parole: “con queste, redimo me e i miei”.
Nonostante ciò, le fave costituivano anche l’alimento più emblematico della ricorrenza. Nei festini mortuari, per scopi propiziatori, venivano offerte ai poveri che le mangiavano crude (perché cotte erano di pertinenza dei benestanti).
In epoca cristiana, nelle ricorrenze dei Santi e dei Morti, le fave diventarono cibo di precetto nel 928 quando, Oddone abate di Cluny, ordinò che ogni anno il 2 novembre si commemorassero i defunti con speciali orazioni, ed affinché i monaci riuscissero a vegliare l’intera notte in preghiera, l’abate concesse una razione notturna di fave.
Un’altra tradizione gastronomica del giorno dei defunti, era quella di cuocere per la prima volta il castagnaccio, che rappresentava la merenda invernale più cara ai bambini.
Oggi i dolci che si preparano per le festività di Ognissanti e dei Defunti, in tutte le regioni italiane, sono dolcetti dai nomi di ossa, fave, pani dei morti. Impastati alla vigilia della ricorrenza rappresentano un simbolo di comunicazione tra il mondo dei vivi e quello dell'aldilà.
Per Pitagora e la sua Scuola, le fave erano un tabù: guai a toccarle ( forse vi era allergico ).
Inseguito da nemici, preferì morire piuttosto di attraversare un campo di fave durante la fuga.
Tutto ciò premesso, la poesia in lettura ha il merito di far riaffiorare alla memoria i riti del passato.
Oltre che a rimembrare la povertà dei tempi quando il dolce in questione era forse l'unico piacere alimentare della festività dei morti.
Bella la lirica nella sua semplicità memoriale e leggerezza del tocco poetico.
Ildebrando

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