Piero Partiti
La
peggior cosa che può capitare a uno che scrive poesia, è proprio quella
di dire a se stesso: "ora scrivo una poesia". Come se si potesse
comandare quel delicato filo che lega il
poeta alla poesia, capovolgere l'essenza stessa della poesia. Ah,
mettetevelo in testa una volta per tutti. Il poeta non scrive poesia, ma
è la poesia ad usare il poeta per essere scritta. Ah, be', non tutti
capiranno questo. Lo so. Non ci si mette a tavolino a scrivere, che so,
"L'infinito", misurando sillabe, ritmo, cercando le parole giuste... Si è
sovrastati dalle parole che arrivano... si abbandona la mente e si
segue l'irrazionale puro, si lasciano le immagini farsi parola... si,
proprio così: parola. Ma quanti poetucoli da concorso della "Sagra del
maialino" sanno, santo cielo, la radice, l'etimologia, il significato
della parola poesia? Ecco, non vedo molte mani alzate, appunto... anche
perché, chi lo conosce il greco antico in questo tempo di condivisione
sui social? (Per cortesia, non consultate wikipedia....). "Poieis" cioè
creazione, cioè creare. Ovvero parlare con la lingua di Dio. Niente di
più, ma anche niente di meno. "En archè epoiesen 'o Theos ton ouranon
kaj ten gen"... In principio Dio creò il cielo e la terra... epoiesen...
(scusate la traslitterazione non troppo accurata....). Pretendo molto?
Si. Pretendo di riportare la poesia alla sua funzione essenziale: la
creazione. E di essere forse, l'unico modo possibile, di spiegare,
cercare almeno di farlo, il dolore. Ovvero la poesia come unico modo per
giungere all'infinito, all'essenza delle cose. Quindi, poetucoli del
"volemose bene", vedete di cambiar mestiere. A ben poca cosa servite, se
non a uccidere la poesia. L'infinito è cosa seria. E se è esistito, se
esiste un Dio che ha creato tutto, ebbene, il suo è stato un atto di
poesia.
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