Noi tre, Freud e Gödel. Le mille facce della verità
di Letizia Vaioli · Pubblicato 13 luglio 2017 · Aggiornato 13 luglio 2017
Qualche
tempo fa un caro amico mi ha proposto di partecipare insieme lui a una
conferenza. Il tema era ‘La garanzia’, un argomento di cui sapevo poco o
nulla e che avrei dovuto, in qualche modo, legare con la matematica.
Avrei potuto rifiutare e declinare cortesemente l’invito, invece ho
accettato la sfida come se fosse stata una partita a tennis,
semplicemente cercando di colpire la palla senza sapere da che parte
sarebbe arrivata.
Così la mia mente ha cominciato a correre nel
campo arancione e quelli che trovate qui sotto sono i risultati di
questa allegra fatica.
Ho pensato che la garanzia, qualsiasi sia
la cosa o la persona che viene garantita, ha bisogno di una
dichiarazione esplicita o implicita di accettabilità, dunque di
un’argomentazione che cerchi di avvicinarsi al vero.
Proprio il
concetto di verità, con gli annessi e i connessi della sua affannosa
ricerca, ha costituito il punto centrale della mia esplorazione. La mia
attenzione è planata, in particolare, sul momento storico in cui l’uomo
ha perso molte delle sue certezze ed è atterrata nella prima metà del
900, quando si sono manifestate contemporaneamente la crisi della logica
e la nascita della psicanalisi.
Ho coinvolto nel gioco due
persone che mi hanno aiutato a vedere aspetti molto diversi: Francesco
Berto e Giacomo Grifoni, che ringrazio moltissimo. Francesco è un
filosofo di grande fama e di grande umiltà, studioso di logica e autore
di bellissimi libri sul tema tra cui ‘Tutti pazzi per Gödel’ in cui
tratta gli argomenti di questa intervista. Giacomo è uno psicologo
psicoterapeuta, ha pubblicato libri per diversi editori tra cui ‘ La
casa delle nuvole dentro’ che affronta in termini narrativi il tema
della violenza domestica. In fondo all’articolo trovate i link per gli
approfondimenti su entrambi.
Quello che è venuto fuori è un
dialogo a tre sulla capacità della mente di creare argomenti e
congetture, se questo poi costituisca il primo passo per avere delle
garanzie è tutto da vedere. Se non altro, mettiamola così, alimenta una
ragionevole speranza.
In questo periodo il mio amico non è stato
bene e sta lottando con tutte le sue forze per non uscire dal gioco. A
lui dedico questo articolo e tutta la ricerca che mi ha condotto qui; se
potessi esprimere un desiderio in questa notte d’estate, chiederei di
veder tornare la palla da questa parte del campo e di sentire la sua
voce che grida: ‘corri Letizia, corri a prenderla!’.
Comincio
la mia chiacchierata girando intorno all’argomento della logica. Mi
rivolgo a Francesco e gli pongo una domanda di carattere generale. Che
cosa c’è di matematico nel modo di ragionare? La logica è una
caratteristica innata necessaria per la sopravvivenza?
Francesco prende la parola e risponde così:
Uno
potrebbe chiedersi cosa c’è di logico nella matematica e cosa c’è di
matematico nella logica. Quanto alla prima domanda, I matematici
ragionano, tipicamente, per deduzione. Gli argomenti deduttivi validi
sono tali che, come si suol dire, ‘preservano la verità’: quando le
premesse sono vere, è impossibile che la conclusione sia falsa. Così,
per fare il famoso esempio funebre: se è vero che tutti gli uomini sono
mortali ed è vero che Socrate è un uomo, Socrate è senz’altro mortale.
Non tutti i ragionamenti che facciamo nella vita sono così. A volte
ragioniamo per induzione, o generalizzando da casi particolari e qui la
conclusione segue dalle premesse solo in modo probabile (Socrate era
mortale (infatti è morto); Giovanna D’Arco era mortale (idem); Napoleone
era mortale (idem); mio nonno era mortale; Andreotti era mortale;etc,
etc, etc. … Concludiamo che tutti gli uomini sono mortali. Infine,
qualche volta ragioniamo per “abduzione”, ossia, grossomodo, cercando la
miglior spiegazione per un fenomeno.
Mi fermo su queste parole:
deduzione, induzione, abduzione. Sono tre modi di impostare un
ragionamento, tre strade per procedere alla ricerca della verità. La
deduzione è rigorosa, da premesse vere scaturiscono conseguenze vere.
L’induzione è meno rigida perché perde la certezza: la conclusione
contiene delle informazioni che non derivano completamente dalle
premesse. Se assaggio uno, due, tre frutti di un albero e considero che
sono acerbi, mi faccio l’idea che tutti i frutti di quell’albero siano
acerbi. L’apertura con cui aggiungiamo informazioni per via induttiva
paga il prezzo dell’insicurezza: il dubbio si affaccia nel margine di
errore e il vero diventa ver osimile; la conclusione segue dunque dalle
premesse solo in modo probabile.L’abduzione è ancora più confusa: se
trovo un ragazzo davanti a una scuola e so che in quell’istituto ci sono
ragazzi della sua età, mi faccio l’idea che quel ragazzo sia uno
studente di quella scuola.
Mi viene da pensare che le premesse
vere sono cosa rara, il più delle volte brancoliamo su ipotesi
verosimili o addirittura ventilate come sulla tela di una ragnatela,
semplicemente cercando di non affondare.
Giro la domanda a
Giacomo, che sulle ragnatele ha costruito la sua professione. Come
ragiona uno psicologo per guidare il suo paziente alla ricerca di un
equilibrio? Si parla di equilibrio, appunto; la verità diventa fluida.
Già,
risponde Giacomo, la verità diventa fluida. Alla psicologia,
soprattutto quella clinica, interessa la soggettività anche se spesso
siamo andati alla ricerca di modelli di funzionamento della mente
universali tanto in ambito sperimentale quanto in ambito più prettamente
terapeutico. Cerco di spiegarmi meglio. Hai presente l’effetto Rashomon
che prende nome dal film di Kurosawa? Nel film diversi testimoni, e
anche l’omicida, raccontano lo stesso episodio in modo diverso. Chi dice
la verità? Come giustamente hai detto tu, spesso la verità è fluida,
soprattutto per le questioni umane. Ognuno ha il suo modo di costruirsi
spiegazioni sui “fatti” applicando filtri, distorsioni, aspettative più o
meno realistiche su come sono andate le cose a seconda delle esperienze
che hanno segnato lo sviluppo della propria personalità, dello stato
emotivo e dello stile cognitivo con cui interpretiamo la realtà. Ne
consegue, se vuoi, l’aspetto più affascinante del mio lavoro, che io
definisco per certi versi artistico oltre che scientifico. Anche ogni
relazione terapeutica, come ogni relazione significativa della nostra
vita, è irripetibile e unica. E proprio come accade nella nostra vita, è
all’interno della relazione terapeutica che co-costruiamo significati
diversi sulle cose, capaci di aiutare l’altro a raggiungere un maggior
livello di benessere emotivo e relazionale. Ovviamente c’è una matrice
di significati comuni che condividiamo tutti in quanto appartenenti ad
una società, ma alla base del lavoro clinico non posso che valorizzare
il preciso modo in cui quella persona sente e percepisce la realtà.
Questo riconoscimento è alla base dell’empatia; cioè, della nostra
capacità di entrare nel punto di vista dell’altro senza giudizio,
prendendo quel vissuto come punto di riferimento per avviare la
relazione. Approccio affascinante, certo, però anche rischioso. In certi
casi, anche noi psicologi dobbiamo tener conto dei fatti, oltre che dei
significati e delle fantasie che ruotano intorno ad essi. Faccio un
esempio. Quando ci si occupa di situazioni di violenza agita e subita,
dobbiamo prendere atto che ci sono verità che rappresentano fatti –
quello che è realmente accaduto, quel giorno, a quell’ora, in quel
luogo, tra quelle due persone – indipendentemente da come gli episodi
reali possono essere deformati, amplificati o minimizzati dal racconto
delle persone che ascoltiamo.
Ripasso la parola a Francesco per
affrontare il secondo punto del discorso: che cosa c’è di matematico
nella logica. è una domanda tutt’altro che banale: se la logica è
necessaria per vivere e contiene i tratti della matematica, va da sé che
la matematica è una struttura innata per la sopravvivenza.
Detta
così potrebbe risultare una cosa spaventosa, non tutti apprezzano
l’idea che abbiamo bisogno della matematica. Se però incliniamo la
testa e guardiamo l’affermazione di lato, troviamo un’ indicazione
incoraggiante: abbiamo tutti la matematica in dotazione genetica e
nessuno è completamente sprovvisto. C’è sempre una faccia della
medaglia che risulta difficile da vedere, spesso è quella che porta più
in alto.
Francesco continua così:
Buona parte della logica
contemporanea utilizza linguaggi formali e tecniche matematiche per
dimostrare una quantità di risultati. La rivoluzione matematica in
logica è iniziata con autori come Boole, Frege, Russell, e non si è
ancora arrestata. E yes, la logica è necessaria per la sopravvivenza.
Inclusa la logica deduttiva. Se vediamo che fuori nevica, e sappiamo che
quando nevica fa freddo e che quando fa freddo è meglio coprirsi,
applicheremo il modus ponens un paio di volte (se P allora Q. E dato che
P, quindi Q) e ci copriremo bene prima di uscire. Inoltre, facciamo
continuamente ipotesi su come le cose potrebbero andare in futuro e cosa
faremmo se andassero così (‘Se tento di saltare oltre quel ruscello, ce
la farò o cadrò in acqua?’ ; ‘Che succede se non riesco a pagare il
mutuo il mese prossimo?’). Facciamo anche ipotesi cosiddette
controfattuali, su come le cose sarebbero potute andare altrimenti, per
accertare responsabilità (‘Avrebbe avuto l’incidente se non fosse
passato col semaforo giallo?’). In queste attività, immaginiamo uno
scenario e, usando procedimenti logici deduttivi, induttivi,
informazioni disponibili e varie tecniche razionali, cerchiamo di capire
cosa seguirebbe, e cosa no.
Mi rivolgo a Giacomo e gli chiedo se
la nostra capacità di formulare ipotesi possa contribuire a generare
ansia: la tentazione di tenere tutto sotto controllo ci proietta in
configurazioni di scenari possibili che la nostra mente non sa gestire
per intero e l’imprevisto diventa una minaccia. Ecco cosa risponde:
Il
nostro pensiero ipotetico è una risorsa fantastica. Piaget ad esempio
lo individuava come la forma più alta di intelligenza perché si svincola
dagli aspetti pratici e operatori e ci consente appunto di fare ipotesi
del tipo “se… allora”. Da un altro punto di vista, lo stesso tipo di
pensiero però può diventare anche un limite se si stacca troppo dai dati
di fatto. In linea generale, la nostra capacità di astrazione e
simbolizzazione deve essere controbilanciata anche da una certa dose di
pragmatismo e intelligenza pratica. Rispetto alle possibili conseguenze
negative dei nostri processi cognitivi, Ellis individua ad esempio alla
base di molte nostre difficoltà le idee irrazionali, che sono asserzioni
che riteniamo vere in modo definitivo e pregiudicano il nostro
equilibrio mentale, tipo: se qualcosa mi sembra molto difficile, allora
devo evitarla perché affrontandola sono destinato a un sicuro e
catastrofico fallimento. Oppure: la mia infelicità dipende da cause
esterne e immodificabili sulle quali io non ho nessun margine di
intervento e mai lo avrò in futuro. Questi sono esempi di derive
irrazionali del nostro pensiero, che, come dire, si avvita su di sé, non
tiene conto delle evidenze contro fattuali e magnifica invece le
evidenze che confermano le idee irrazionali che produce. Il fatto è che
ci illudiamo di poter tenere sotto controllo con la nostra mente la
realtà, ma purtroppo non è possibile. In estrema sintesi, a volte le
persone vanno aiutate a tollerare questa dolorosa “verità”!
Riprendo io il discorso.
La
storia racconta che molti grandi geni della matematica sono diventati
pazzi. Lo stesso Gödel soffriva di ipocondria e manifestava conclamate
paranoie, tra cui la volontà di mangiare pochissimo per paura di essere
avvelenato. Sembra quasi che l’eccezionale capacità logica in ambiti di
studio elevati abbia contaminato (se non addirittura esaurito) la logica
semplice della quotidianità, fino a sgretolare il buon senso. Mi giro
verso Francesco e chi chiedo se ha un’idea per spiegare questo fenomeno.
Francesco sorride e poi dice:
Non dubito che chi è molto dotato
per il pensiero astratto possa aver la tendenza a vivere nelle proprie
astrazioni. In certi ambienti accademici, questo modo d’essere è
considerato normale, tollerato o incoraggiato. Ma naturalmente, non è
inevitabile. Credo Che Tarski abbia detto una volta di considerarsi il
migliore fra i logici sani di mente, o qualcosa del genere. Intendeva
giocare un po’ con questo luogo comune e darsi, così, del logico non
eccezionale (il sottinteso era: i veri grandi sono tutti matti). Eppure,
era un logico eccezionale ed era anche uno che sapeva stare al mondo.
Poi, per un parere serio, bisognerebbe girare la domanda a uno psicologo
🙂
Guardo Giacomo, che si sente tirato in ballo per il parere serio. Gli passo la palla e me la rende con queste riflessioni:
Non
sono sicuro di essere in grado di rispondere alla domanda se l’eccesso
di logica conduca alla follia. Credo, d’altro canto, che sia rischiosa
ogni forma di eccesso e che il discorso possa essere allargato alla
domanda: che cosa significa benessere psichico? Penso che questo si
fondi sulla nostra capacità di integrare aspetti anche molto diversi
della nostra personalità, mantenendo allenata la mente all’incontro con
il diverso, l’estraneo, con il nuovo. Ovvero, con qualcosa che ci
spiazza e esce dalle nostre specializzazioni.
Può darsi che chi
si occupa di logica corra il rischio di isolarsi in un mondo astratto
così come, per esempio, chi si occupa di ingranaggi possa correre il
rischio di isolarsi nella sua catena di montaggio e chi si occupa di
psicopatologia possa rischiare di isolarsi nel suo sapere psicologico,
ritenendosi depositario della verità. La salute e il benessere psichico
hanno molto a che fare, secondo me, anche con il concetto di
versatilità, ironia e apertura mentale. E anche con la capacità di
cambiare.
Sulla capacità di cambiare mi fermo e ripenso
alle cose che sono state dette. Penso alla verità, che ci sfugge dalle
mani come un pezzo di sapone; la cerchiamo nel nostro modo di sentire,
la tocchiamo col pensiero deduttivo che vorrebbe preservarla, la
leggiamo nei fatti delle cose passate che non esistono più. La verità è
una stanza piena di specchi, ogni riflesso è una menzogna che dice
qualcosa di vero.
Così concludo la prima parte di questa
intervista a metà strada tra la logica e la psicologia. Siamo sul ponte
tra i nostri emisferi, il posto migliore per un picnic. Chi vuole trova
la seconda parte sul blog di Buongiorno Matematica tra qualche giorno,
giusto il tempo di tirare qualche sasso nell’acqua e di vederlo
arrivare.
https://francescoberto.academia.edu
http://www.giacomogrifoni.it
*****************************
Epitteto Eubulide:
Non sapevo se commentare.
Poi una forza irresistibile mi ha spinto a forzare la parte dubbiosa della mia personalità.
Il
pensiero astratto di cui alla lettura mi appare come la solita
esagerazione di certi intellettuali: improduttiva ai fini pratici,
esaustiva teoricamente.
Per farla breve, vedo questi maîtres à penser
staccati dal mondo reale ( Le nuvole di Aristofane ), sempre impegnati
in arrampicate cerebrali.
Non datemi del superficiale: ma io penso
che una buona vanga o un tirocinio in miniera non possa che giovare loro
ed alla società facendoli ritornare coi piedi per terra.
A suo tempo per circostanze fortuite e coincidenze strane ebbi a sottopormi ad una visita psichiatrica.
Il quadro clinico sortito fu del tutto drammatico.
E mi ha dato la prova provata della follia degli esperti in materia.
Tengo il referto gelosamente custodito in cassaforte, come grimaldello assolutorio in caso di fatto delittuoso per mia mano...
Sono curioso di leggere la seconda parte dell'intervista, fin qui peraltro condotta con chiareza e perizia letteraria.
P.S.
: nella mia libreria fa bella mostra di sè il libro < Gödel, Escher,
Bach >, che però non son mai riuscito a finire di leggere, per me
troppo ostico...
Hal di Epitteto
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