OTTOBRE, VENDEMMIA D’AMOR
***di Pietro ZURLO***
***
Il mosto è nei fusti, già bolle
è uscito dall’uva torchiata;
già prima raccolta e pigiata
da uomini e donne danzanti.
***
Un anno di duro lavoro,
da parte del coltivatore;
ma adesso è finita beviamo
il mosto è un invito all’amore!
***
San Martino vien presto esultiamo
ogni mosto diventerà vino
come adesso ti voglio vicino
per brindare festosi all’amor.
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NOTE DELL’AUTORE:
La prima quartina si può sostituire con quella sottostante, rifatta
dall’amico Epitteto. Ai lettori la scelta di apprezzarne il cambio che a
parer mio la rende più àulica.
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Dall’uva raccolta e pigiata
il mosto nei tini già bolle;
con Bacco che balla e traballa
son uomini e donne a danzar.
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LENTAMENTE…
***
Lentamente, ma inesorabilmente,
passano i giorni, i mesi e infine gli anni;
disseminando tracce e gravi segni,
portando via aneliti di vita.
***
Un corpo vigoroso ed aitante,
si deperisce, snerva e deteriora;
la mente vaga incerta nel ricordo,
trovando asilo al buio, all’abbandono.
***
Oh! Giorni di fulgore e sfavillio,
siete lontani, nell’oscurità;
la tenebra vi porta nell’oblio
***
siete soltanto un vago turbamento.
Troppo hanno visto gli occhi e sono stanchi,
anelano rifugio nel silenzio.
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COMMENTO DI EPITETO
Sonetto a schema libero sulla ineluttabilità del tempo.
Un dèmone con quale tutti dobbiamo fare i conti. Da giovani si è pronti
a sprecare la vita, da vecchi ad economizzarla. Iddio ci ha regalato la
morte, ma per evitare la disperazione maggiore non ci ha detto quando.
E’ singolare come l’uomo guardi al passato come un bene perduto. In
verità, per quanto mi riguarda, vorrei citare un aneddoto: Recentemente
un muratore, stravolto dalla fatica, mi ha detto: “Se nasco un’altra
volta, cambio mestiere”. Per carità, gli ho risposto, il nostro Capo ci
ha già punito severamente con una vita, spero non ve ne sia una seconda!
Ecco, ciò che dice don Pietro mi conforta nelle mie convinzioni: non
c’è peggior castigo dell’esser nati.
Io guardo alla dipartita con fiducia. Avrò finito di soffrire.
E vi prego, non invocate i morti a soccorso.Esistono nella beatitudine,
lasciamoli in pace. La composizione, dopo il grido di dolore,
conchiude: “..gli occhi stanchi, anelano rifugio nel silenzio”. Ah,
l’eterna pace senza la prigionia di questo corpo, adesso per giunta
malandato!
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